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Roberto Buttazzo, direttore del Sert di Lecce e San Cesario: pochissimi quelli che escono dal tunnel

Roberto Buttazzo, direttore del Sert di Lecce e San Cesario: pochissimi quelli che escono dal tunnel

 

Mercoledì 25 Febbraio 2009, 09:56

02 Febbraio 2016, 20:11

«Il fenomeno dell’uso personale di stupefacenti, come quello della tossicodipendenza, è in crescita. Inutile negarlo». Non lascia dubbi l’analisi del dottor Roberto Buttazzo, direttore del Servizio pubblico per le tossicodipendenze (Sert) di Lecce e San Cesario. «Abbiamo una sorta di arresto dell’eroina, che oggi riguarda tra l’1 ed il 2 per cento dei nuovi utenti. Aumentano invece sensibilmente i casi di cocaina e alcol». 
Come si stabilisce il primo contatto con il Sert? 
«Di solito i ragazzi tossicodipendenti si presentano da noi volontariamente, più raramente si interessano per prime le famiglie. Da qualche tempo aumentano sensibilmente i segnalati dalla prefettura per uso personale: quelle persone fermate dalle forze dell’ordine con dosi minime». 
Perché ci si presenta in maniera volontaria? 
«Vengono perché la maggior parte delle persone non regge più le spese per sostenere la dipendenza dalle droghe, per ovviare a spese e costi o perché non ce la fa più a vivere di espedienti. Da noi cercano una condizione più stabile». 
Come si articolano le fasi della cura e della riabilitazione? 
«Il ragazzo si presenta con un documento di identità. Solitamente accettiamo le iscrizioni in base alla residenza, per non creare doppie cure. Molti in passato, per prendere maggiori quantità di metadone, si iscrivevano a più Sert. Ci limitiamo ad avvisare il Sert territorialmente competente. Molto spesso infatti i ragazzi scelgono di rivolgersi ad una struttura più lontana per motivi di privacy, perché conoscono qualcuno che ci lavora o più semplicemente per non farsi vedere in zona». 
Una volta presi in carico che cosa succede? 
«Si fa compilare la cartella attraverso l’assistenza di una pedagogista e di un assistente sociale, che raccolgono dati dal punto di vista sociale, in particolare sul primo approccio con le droghe. Successivamente interviene il medico, con la prescrizione di analisi tossicologiche utili ad accertare le condizioni fisiche totali e lo stato delle malattie infettive di solito correlate all’uso di stupefacenti o alcol. Riscontriamo che l’epatite C è in aumento, mentre il virus Hiv è fortunatamente stabile da un po' di anni. Attenzione però: l’epatite C non è meno grave». 
Risolto il problema farmacologico, che cosa succede? 
«Il problema farmacologico è il più impellente per il giovane. Terminata questa fase interviene la psicologa che chiude il lavoro di equipe con colloqui prima bisettimanali e poi settimanali, con il progressivo coinvolgimento della famiglia. L’obiettivo è far comprendere al ragazzo ed ai genitori che la tossicodipendenza è una malattia psico-sociale la cui caratteristica è la recidiva: a torto i pazienti si concentrano sulla figura del medico, che invece è una figura secondaria nel percorso di riabilitazione. Non si risolve un problema come la tossicodipendenza solo superando il problema fisico». 
Quali sono i trattamenti farmacologici che utilizzate? 
«Allo stato attuale utilizziamo solo due farmaci, che sono riferiti all’uso di eroina: il metadone e la buprenorfina. Per la cocaina utilizziamo ansiolitici ed antidepressivi. La coca infatti è una sostanza notevolmente depressivante: quando si assume trasmette euforia per poche ore, ma finito l’effetto fa star peggio di prima». 
Che tipo di farmaci sono il metadone e la buprenofrina? 
«Il metadone è usato come integratore. Se io ho in corpo il metadone e mi faccio di eroina, sento la droga lo stesso, con la differenza che invece di iniettarmi 100 euro di sostanza me ne bastano 50. La buprenorfina ha anche una funzione antagonista: se ce l’ho in corpo non riuscirei a sentire neppure 10 chili di eroina. Annulla lo sballo, che è quanto ricercano i tossicodipendenti. La seconda sostanza è ovviamene quella più efficace, ma non tutti accettano il trattamento. Due terzi dei pazienti preferisce il metadone». 
In che percentuale ha successo il trattamento del Sert? 
«Nel breve periodo, cioè a sei mesi dall’inizio del trattamento, le percentuali sono molto basse: 15-20%. Attenzione però: valutando i casi nel tempo aumentano i casi di recidiva. Il guaio è che nessuno vuol lavorare sull'aspetto sociale e psicologico del problema. Resta anche per questo fondamentale la prevenzione, che noi proponiamo a tappeto nelle scuole».
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