BARI - «C'è un grave limite legislativo sulle intercettazioni della corrispondenza dei detenuti. Agli inquirenti serve una legge che consenta di leggere le lettere da e per il carcere, intercettarle come avviene per le telefonate e le mail, senza però bloccarle». È l’appello lanciato dal procuratore di Bari, Giuseppe Volpe, durante la conferenza stampa relativa all’arresto di sette presunti affiliati al clan Strisciuglio di Bari accusati di associazione mafiosa, detenzione e porto illegale di armi e munizioni, spaccio di droga, reati aggravati dal metodo mafioso.
Gli accertamenti della Dda di Bari, coordinata dal pm Pasquale Drago, hanno evidenziato il ruolo dei capi emergenti del clan dopo il vuoto di potere lasciato sul quartiere Libertà e sugli altri rioni cittadini controllati dagli Striscuglio, all’indomani degli arresti dei boss Misceo e Telegrafo. Caldarola, ma anche Ruta, Valentino e Faccilongo, avevano raggiunto, secondo gli inquirenti, gradi di mafiosità tali che gli consentivano di essere autonomi nel prendere alcune decisioni, per esempio commissionare fatti di sangue come l'omicidio del pregiudicato Gino Luisi.
Per questa ragione il procuratore Volpe ha parlato di «metodo Strisciuglio» come «federazione di gruppi criminali». Le indagini hanno documentato anche una rissa in carcere ritenuta sintomo di frizioni fra gruppi interni allo stesso clan, oltre a centrali operative dove avvenivano le affiliazione e dove venivano custoditi gli arsenali del clan, costituiti da locali limitrofi alle case di alcuni affiliati.