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Sfruttate le mogli dei cassintegrati Ilva

 
Rita Schena

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Rita Schena

Venerdì 24 Febbraio 2017, 16:56

BARI - «Per favore te lo chiedo, devo mandare i bambini a scuola, già lavoro non ce n'è, poi dobbiamo aspettare». È il contenuto di un sms inviato, per chiedere un pagamento arretrato, da una delle braccianti agricole sfruttate dai presunti caporali arrestati ieri su disposizione della magistratura di Trani ad uno degli indagati.
Molte di quelle donne reclutate per lavorare, in condizioni di sfruttamento, nei campi del nord barese, sono mogli di cassintegrati dell’Ilva di Taranto, il cui lavoro di braccianti costituiva l’unico sostentamento per la famiglia. Ed era proprio lo stato di miseria e bisogno, secondo gli investigatori tranesi che indagavano sulla morte nei campi di Paola Clemente, avvenuta ad Andria nel luglio 2015, a costringere quelle donne ad accettare di lavorare a meno di 30 euro al giorno, per ore sotto tendoni con una temperatura di 40 gradi. Una situazione che avrebbe alimentato un «contesto di omertà» che «portava le stesse braccianti - dice la Procura - a santificare i loro carnefici, al punto di ringraziarli del lavoro ottenuto».

Nelle prime dichiarazioni rese agli inquirenti, fra tanti «non ricordo» e «non so», le donne dicevano che «il caporale è chi ti paga male e ti tratta come schiava, ma a me non è mai successo», spiegando che «dalle mie parti non c'è lavoro e trovare una persona che permette di poter lavorare in queste condizioni è fortuna». Ma poi, alcune settimane più tardi, a partire dal settembre 2015, quelle dichiarazioni cominciarono ad essere più consapevoli. «Ci dicevano che se ci andava bene era così, altrimenti eravamo libere di andarcene» spiegava una bracciante.
«Cosa puoi fare se non vai a lavorare con Ciro (Grassi, ndr)? - diceva un’altra - Molte persone vanno a lavorare anche perdendo soldi e giornate perché non c'è altro di meglio e hanno bisogno anche di trenta euro. Se dici che non vuoi andare a lavorare la domenica, lui dice statti a casa, al posto tuo ci vanno altri. C'è tanta gente che muore di fame e prende il tuo posto».

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