BARI - Francesca Speranza 30 anni, nata a Latiano (Brindisi), una laurea in architettura e un diploma in decorazione, fotografa quasi professionista non avrebbe «mai immaginato» di essere oggetto di minacce, per una fotografia. Una foto tutt’altro che politica, a differenza di quella che le fece vincere un premio a Torino al concorso della Fondazione Crt, e che ritraeva il confine tra gli Usa e il Messico. «Quella sì - ricorda - fu una foto polemica e dai contenuti sociali e politici forti. Ma questa che ho esposto a Bari è soltanto una bella foto, coloratissima, che ritrae tanti tifosi. Mi piaceva per il semplice fatto che ritrae una massa di gente, nel suo insieme apparentemente senza nome. In realtà “zoomando” su ognuna di quelle persone si può raccontare la storia di ogni singola faccia, identificare e capire cosa quelle mani alzate, quelle bocche aperte, quei pugni, quelle sciarpe o quella violenza dicono».
«È una bella foto - continua la fotografa di Latiano - che chiunque poteva leggere a modo suo: gli antropologi potevano interpretare la partecipazione di un popolo ad un evento sportivo, gli stilisti analizzare come la gente si veste quando non va in ufficio, gli psichiatri come ci si comporta individualmente nella folla indistinta. Oppure, vista come una grande foto colorata. E per questo senza alcun messaggio particolare. Insomma, alla fine poteva anche essere una stupida foto». «Per giunta - aggiunge Francesca - io non amo il calcio, non sono tifosa e non mi importa nulla di quel mondo. Ci sono andata quella volta con un mio amico, anche lui fotografo. Ci andavo con mio padre (Nicola, n.d.r.) quando ero piccola insieme a mio fratello. E ci tornavo quando mio fratello veniva a trovarmi a Roma o a Firenze e insieme ricordavamo quando nostro padre ci portava con lui».
«Se - dice Francesca - mi chiedi quando ho scattato quella foto, rispondo che non mi ricordo neppure: dovrei guardare nell’archivio per risalire alla data e alla partita del Lecce. Credo comunque si trattasse dell’incontro con il Palermo, del quale non ricordo neppure come andò a finire, cioè se il Lecce vinse o perse».
Francesca Speranza è appena tornata da un viaggio a New York. Era partita il giorno dopo l’apertura della mostra nella sala Murat di Bari, alla quale erano seguite le minacce telefoniche. «Il mio numero di cellulare era sotto quella foto e per molti è stato facile chiamare in maniera anonima e minacciarmi. Così in questi giorni ho evitato di rispondere a telefonate di numeri che non avevo nella rubrica». «Ho letto che qualcuno ha strappato la foto: mi sarei aspettata invece che si parlasse di me per il nuovo libro fotografico in stampa». Quando chiediamo a Francesca una sua foto per pubblicarla qui, a corredo della sua intervista, domanda d’istinto: non è che è pericoloso?
Franco Giuliano
















