LECCE - Era perfettamente consapevole del giro di donne che effettuavano prestazioni sessuali a pagamento all’interno del suo appartamento il magistrato della Cassazione indagato oggi a Lecce, insieme con la compagna, per sfruttamento della prostituzione. Dalle dichiarazioni rese agli investigatori dalle ragazze straniere che si prostituivano nella casa nel centro di Lecce, collegata a quella dove viveva il magistrato, gli investigatori hanno appreso come il proprietario si fosse recato, solo qualche giorno prima, nell’appartamento per consegnare loro i prodotti per fare le pulizie, annunciando loro, in quell'occasione, che nei giorni successivi avrebbero dovuto condividere la stanza già occupata con altre ragazze appena giunte. Comportamento questo - sottolineano tra l’altro gli investigatori - «impensabile in qualsiasi lecito rapporto di locazione».
Una delle ragazze ha inoltre riferito che, contattato il proprietario dopo aver trovato in internet il suo numero di telefono quale titolare di un «bed and breakfast», e lamentatasi dell’esosità del prezzo, esplicitamente l’uomo le aveva risposto che «non avrebbe avuto problemi a pagare una tale cifra», sottintendendo con ciò di essere consapevole che nel suo appartamento sarebbe stata svolta l’attività di prostituzione.
Inoltre tutti gli inquilini dello stesso stabile avevano compreso il tipo di attività che da circa tre mesi veniva esercitata nell’appartamento al primo piano, considerato l'ininterrotto avvicendarsi di singoli avventori di sesso maschile a qualsiasi ora del giorno e della notte. Non solo: l'indagato, dopo avere diviso in due l’appartamento di sua proprietà, ricavandone quello poi concesso in locazione ed adibito all’esercizio della prostituzione, aveva apposto solo all’esterno di questo, e senza l’autorizzazione dei condomini, una telecamera che ne vigilava l’ingresso. Gli inquilini dell’immobile hanno anche riferito di aver ripetutamente notato l'indagato accompagnare ragazze in ascensore all’appartamento, portando loro le valigie. Infine, nonostante l’appartamento fosse pubblicizzato online come «casa vacanze» o «bed and breakfast», nessuna insegna è stata posta all’esterno dello stabile e il locatore ha omesso qualsiasi comunicazione all’Autorità di Pubblica Sicurezza relativa all’identità degli alloggiati.