Le superfici d'acqua di questa regione, sotto amministrazione cinese dal 1951, rappresentano un terzo della superficie lacustre totale del paese. Sull'altopiano tibetano nascono i principali fiumi dell'Asia: Indo, Mekong, Fiume Giallo, Yangzi, Salween, Brahmaputra e Sutlej. Tra i grandi fiumi della regione solo la sorgente del Gange si trova sul versante indiano dell'Himalaya.
Con questi corsi d'acqua enormi la Cina può permettersi giganteschi progetti idroelettrici, indispensabili al suo sviluppo economico, soprattutto nella provincia dello Yunnan. Inoltre, la Cina, inquinata da due decenni di rapida crescita, vuole raggiungere il 15% di energie rinnovabili entro il 2020, quasi il doppio rispetto al 2005. E per raggiungere lo scopo punta proprio sullo sfruttamento delle acque presenti nel paese, mantenendo però il più assoluto riserbo sui progetti e sul loro impatto ambientale per i paesi vicini, come Thailandia, Cambogia, Vietnam e India.
Uno dei progetti che più inquieta tibetani, indiani e difensori dell'ambiente consiste nella cattura delle acque tibetane e la costruzione di barriere sul Brahmaputra per incanalare l'acqua verso il Fiume Giallo, periodicamente a secco, molto inquinato e non più sufficiente per la Cina del Nord. In un recente rapporto, il governo tibetano in esilio stima che questo progetto titanico «è paragonabile a quello della Grande Muraglia» ed è possibile che i 100 miliardi di yuan (10 miliardi di euro) promessi nel marzo del 2007 al Tibet, comprendano i preparativi per questo mastodontico piano.
















