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Il caso di Tommy Onofri - Dall'infanticidio agli arresti

 

Mercoledì 18 Luglio 2007, 17:40

02 Febbraio 2016, 19:38

Paola e Paolo Onofri, i genitori del piccolo Tommaso La storia del rapimento di Tommaso Onofri si chiude in tragedia l'1 aprile scorso, a tarda sera: la Polizia, seguendo le indicazioni del reo confesso Mario Alessi, dopo lunghe e affannose ricerche ritrova il corpo senza vita del piccolo in località Sant'Ilario, a pochi chilometri da Casalbaroncolo, dove Tommy era stato sequestrato un mese prima. Il corpo giace in un casolare abbandonato, sotto terra, vicino a un covone di paglia, a 30 centimetri di profondità. È stato ucciso a colpi di pala sulla faccia.
L'epilogo è incredibile tanto quanto l'intera storia: il 2 marzo proprio a Casalbaroncolo, nei pressi di Parma, una frazione immersa in una tranquilla zona di campagna, con poche decine di residenti dediti all'agricoltura, Paolo Onofri e Paola Pellighelli denunciano il rapimento del figlio Tommaso, 18 mesi, malato di epilessia. La dinamica del fatto è chiara: i rapitori, due italiani, fanno irruzione in casa approfittando di un black out e, armati di pistola e coltello, immobilizzano madre, padre e l'altro figlio di 8 anni. Prendono il piccolo dal seggiolone, rubano 150 euro, lasciano un orologio e altri oggetti di valore e scappano a bordo di un motorino. Con il piccolo seduto sul sellino in mezzo a loro.
Per nulla chiaro è invece il movente del sequestro perché la famiglia Onofri non è ricca: il padre, 46 anni, è dirigente in un ufficio postale, mentre la madre, 43 anni, è impiegata, sempre alle Poste.
In più il bambino ha una salute cagionevole e necessita di cure continue, ha bisogno di assumere due volte al giorno uno sciroppo specifico per curare l'epilessia. Eppure, dopo i primi accertamenti, gli interrogatori dei genitori, dell'ex moglie di Onofri e del figlio sedicenne nato dal primo matrimonio, il procuratore capo di Parma, Gerardo La Guardia, esclude l'ipotesi che in un primo momento era sembrata più probabile e cioè che l'originale progetto di rapina fosse degenerato in un rapimento. Alle spalle, invece, ci sarebbe un piano ben premeditato: le ipotesi prevalenti sono quindi quelle di sequestro a scopo di estorsione o di vendetta.
Intanto il caso di Tommy comincia a scuotere l'Italia: gli appelli struggenti dei genitori che chiedono pietà ai rapitori e spiegano le modalità di somministrazione del farmaco commuove cronisti, poliziotti e l'intera opinione pubblica.
Le indagini proseguono e a spuntare è il nome di Pasquale Gagliostro, collaboratore di giustizia, che dichiara di essere stato contattato nel 2005 per realizzare un sequestro lampo nella zona di Parma. La pista non porta a niente e le attenzioni degli inquirenti si concentrano via via sul papà di Tommaso, Paolo Onofri che, in un'intervista, dichiara di sentirsi nello stesso tempo «accusato e vittima». Il 10 marzo si registra un clamoroso sviluppo nella vicenda, poi però non decisivo: Paolo Onofri viene indagato per detenzione di materiale pedopornografico, dopo che nei suoi computer lasciati nella cantina di via Jacchia vengono trovati centinaia di file compromettenti.
Nella storia di Tommaso, intanto, trovano spazio anche elementi «mistici»: il 16 marzo Costantina Comoderi, una sensitiva milanese, indica che il corpo del piccolo si trova sott'acqua, nel fiume Magra, nei pressi di Pontremoli. I sommozzatori dei vigili del fuoco lo cercano, ma l'indicazione si rileva priva di fondamento.
Il 22 marzo ecco un ritorno inatteso in famiglia, purtroppo non quello che i coniugi Onofri desideravano più di ogni altra cosa: a Sissa, 20 chilometri da Casalbaroncolo, viene ritrovato Toby, il cane di famiglia scomparso una settimana prima del rapimento. Mentre cadono completamente i sospetti sul padre di Tommaso, che si scusa pubblicamente per quel materiale pedopornografico («uno sbaglio di cui mi sono pentito»), sulla strada che porta a casa Onofri compare la scritta «ne hai abbastanza?».
Il 25 marzo è una data chiave: la Procura apre un'indagine con l'accusa di concorso in sequestro a scopo di estorsione contro Mario Alessi, 44 anni, manovale di origine siciliana che aveva preso parte alla ristrutturazione della casa della famiglia Onofri. L'alibi fornito dal manovale per la notte del sequestro non trova conferme da parte di nessun testimone. Passano tre giorni e le indagini si concentrano su un gruppo di almeno cinque persone, tra cui pare anche due donne, seguite a vista dai Carabinieri.
L'indizio essenziale è l'impronta lasciata da uno dei rapitori sullo scotch usato per legare i familiari di Tommy: apparterrebbe a Salvatore Raimondi, un pregiudicato siciliano.
Il 29 marzo l'attività degli investigatori arriva fino alle porte di Agrigento, a San Biagio Platani, paese di orgine di Mario Alessi. Poco lontano abitano i familiari dell'ex moglie di Paolo Onofri.
Il 1° aprile la vicenda si muta in tragedia: tre persone vengono fermate per il sequestro. Si tratta di Mario Alessi, Salvatore Raimondi e Antonella Conserva.
Il primo a confessare è Raimondi, che ammette di essere uno dei rapitori, ma dice che l'assassino è Alessi, il quale continua a negare ogni accusa, proprio come aveva fatto nei giorni precedenti al fermo quando, davanti alle telecamere, si era proclamato innocente rivolgendo finanche un appello ai rapitori perché liberassero il piccolo. Poi, però, anche Alessi crolla: Tommaso è morto. La rivelazione arriva mentre tutti ancora lo cercavano nelle campagne intorno a Parma e i genitori si aspettavano una richiesta di riscatto o un qualsiasi segnale da parte dei rapitori.
Tra gli indagati giorni dopo spunta anche il nome di Pasquale Barbera, il capomastro che lavorò con Alessi a Casalbaroncolo, accusato di favoreggiamento e calunnia. Per Antonella Conserva, compagna di Alessi, l'accusa è di concorso in sequestro di persona. Per Alessi e Raimondi, invece, si parla di rapimento a scopo di estorsione, infanticidio, occultamento di cadavere e possesso di armi e oggetti atti a offendere.
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