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Stipendi d’oro ai «fiduciari» e nessun premio agli operai

 

Venerdì 13 Settembre 2013, 08:48

03 Febbraio 2016, 03:35

di Francesco Casula

TARANTO - È stata fissata per il 17 settembre l’udienza del tribunale del Riesame di Taranto che dovrà decidere sulla richiesta di revoca delle misure cautelari emesse dal gip Patrizia Todisco nei confronti di quattro dei cinque «fiduciari» arrestati dalla Guardia di finanza di Taranto. Si tratta di Alfredo Ceriani, responsabile dell’area a caldo con il compito di massimizzare la produzione, Giovanni Rebaioli, gestore dell’area parchi e impianti marittimi, Agostino Pastorino, responsabile dell’area ghisa e di tutti gli investimenti nella fabbrica ed Enrico Bessone, dipendente di Riva Fire e responsabile dell’area manutenzione meccanica delle acciaierie.

I quattro, difesi dai legali Egidio Albanese e Franz Pesare, rispondono di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro per essere stati la «longa manus» dei Riva con il compito di verificare l’operato dei dipendenti, assicurandosi che fossero rispettate le logiche aziendali e partecipando così alla commissione dei reati. Si terrà invece nelle prossime ore l’interrogatorio di garanzia per l’unico indagato finito agli arresti domiciliari, Lanfranco Legnani, considerato dai magistrati inquirenti, il «direttore-ombra» dello stabilimento siderurgico.

Intanto dalle 198 pagine di informativa depositata a fine luglio dalle fiamme gialle guidate dal colonnello Salvatore Paiano e dal tenente colonnello Giuseppe Micelli, emergono gli stipendi d’oro del «governo ombra». Alfredo Ceriani, responsabile dell’area a caldo con il compito di massimizzare la produzione, nel 2011 percepiva, ad esempio, un corrispettivo annuale di 108mila euro e un premio personale di ben 225mila euro. E poi Agostino Pastorino, responsabile dell’area ghisa e di tutti gli investimenti nella fabbrica, che nello stesso anno percepisce un corrispettivo annuo di poco superiore agli 80mila euro e ottiene a dicembre un «complemento anno» di 125mila euro: per i finanzieri rappresenta «il premio personale attribuito al fiduciario per il raggiungimento degli obiettivi». Il corrispettivo annuo più elevato, spetta al direttore ombra Legnani, che nell’ottobre 2009 comunica a Riva Fire spa di voler risolvere il contratto di assistenza e consulenza tecnica stipulato nel 2002 per il quale percepiva un corrispettivo annuo di 250mila euro al netto dell’Iva. Un corrispettivo più elevato persino di quello del «direttore ufficiale» dell’Ilva, Vincenzo Lupoli, che nel suo interrogatorio dinanzi ai finanzieri dichiara di percepire un compenso annuo di 200mila euro.

Veri e propri tesori di fronte allo stipendio di un operaio. Fiumi di soldi per i finanzieri hanno una duplice finalità: evitare l’appiattimento del personale e ottenere la condivisione degli obiettivi di produzione. Premi concessi a tutti (impiegati, tecnici, capiturno, capireparto e capiarea), tranne agli operai, la cui opera resta comunque indispensabile per raggiungere gli obiettivi. È così che i Riva mandavano avanti la fabbrica: spiengendo al massimo la produzione in cambio di premi. Premi che in alcuni casi erano anche più alti delle dodici mensilità. Ma anche al personale diretto di Ilva erano corrisposti i premi. A impiegati, tecnici, capiturno, capireparti e capiarea. Tranne agli operai. «L’azienda – scrivono i finanzieri nella loro informativa finale – lo concede a propria discrezione, a fronte di una sorta di “pagella” di merito stilata snche con il benestare dei fiduciari».

I premi, quindi, sono paragonabili «a una sorta di grimaldello, sono lo strumento attraverso il quale i vertici del Gruppo Riva, sono riusciti a far valere la loro linea, che gli ha permesso di raggiungere gli obiettivi sperati». Ed è così che la capacità di produzione nella massima resa dell’impianto e nel raggiungimento del fatturato è diventato il metro di misura dei Riva, «adottato verso tutto e tutti». Una logica talmente «esasperata» da non prevedere alcuna tolleranza «per le fermate non programmate, le interruzioni, le pause e quant’altro, per non parlare poi delle manutenzioni».
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