NEMOLI - ”Pasqua marzatica o morìa o famatica” quest’antico proverbio sentenzia che la festa, se cade nel terzo mese dell’anno, sarà portatrice di morte e fame. Sembra un controsenso per una ricorrenza simbolo di vita nuova e rinascita. Ma, a dire il vero, quando si è in prossimità dell’equinozio primaverile, con il sole «crocifisso » nel cielo, tutti i segni preannunciano una serie di grandi eventi e sconvolgimenti, atmosferici e non. La concomitanza con il periodo di perdurante crisi economica, politica e morale, in cui viviamo, pare debba dare ragione all’adagio. Ancora in auge nell’area calabro-lucana, in terra pugliese, campana, in Umbria e Toscana, ci è tramandato da diverse categorie sociali: dai contadini agli allevatori, persino dai briganti del beneventano. Dalla lettura che se ne fa, nelle varie zone, si evince che la Pasqua anticipata essendo controtempo sarebbe, ovviamente, «friddusa» e povera. Sinonimo di malannata, una volta, annunciava scarsità nei raccolti quindi generatrice di carestia, epidemie e persino guerra.
Nell’universo sapienzale popolare, che viveva secondo un calendario scandito dalle stagioni, la Resurrezione «prematura», in definitiva, costituiva una sventura. Quella «marzatica» non fa rima, infatti, con «Pasqua int' a 'na frasca» un proverbio, tutto lucano, che non è antesignano della Pasquetta quanto dei ritmi della civiltà agro-silvo-pastorale. Nel mondo rurale, la festa più importante della cristianità, costituiva il preludio all’avvio dei lavori nei campi e nei boschi e già si sentiva aria di transumanza. Dai segnali premonitori della natura s'intuiva l’andamento stagionale e la necessità di esorcizzare il futuro. Dopo i falò propiziatori di S. Giuseppe, in Basilicata, s'accendono quelli dell’Annunziata, per fecondare e rendere fertili i campi.
Poi segue la festa delle Palme che, se bagnate, assicuravano spighe di colme di grano. In chiave beneagurante pure i riti arborei che, a Viggianello sul Pollino, iniziano la domenica dopo Pasqua. Di buon auspicio, ancora, il «battesimo» tra un arco di rami di rovo, un tempo in uso nel Marmo-Platano, a Baragiano e Pescopagano il Lunedì in Albis. L'elemento vegetale, presente in queste consuetudini, caratterizza il passaggio dall’inver no alla primavera. Lo stesso accade nel consumo di piante spontanee ed erbe amare (che rimandano all’Esodo biblico) quali asparagi, luppolo, vitalba, borragine che, uniti alle uova, in frittate o nelle tipiche ciambelle dolci o salate come la «scarcedda» o «pecceddato» (il bokelaton greco o moderno buccellato) si sposano in segno del rinnovamento cosmico. In definitiva gli influssi astrali dovrebbero essere limitati in quanto la Pasqua “bassa” coincide con l’ultimo giorno del mese, il 31, tra l’altro prestato da aprile a marzo, per gabbare il pastore.
















