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Siamo rimasti il popolo dell’assalto ai forni

Siamo rimasti il popolo dell’assalto ai forni

 

Mercoledì 25 Gennaio 2012, 08:45

03 Febbraio 2016, 00:23

di Michele Partipilo 

Il bilancio assomiglia a un bollettino di guerra: benzina finita; nei negozi introvabili latte, verdure e carne; rallentata la raccolta dei rifiuti per riservare il carburante ai bus; aeroporti a rischio stop; traffico veicolare crollato del 40 per cento. Non siamo all’inizio di guerre stellari né dopo la caduta di un asteroide sull’Italia. Più banalmente, i camionisti sono in sciopero da 48 ore. Una protesta che ha fatto scomparire quella dei tassisti, vista la psicosi da «assalto ai forni» di manzoniana memoria. Ieri c’è scappato pure il morto. Un incidente, certo. Però situazioni così confuse spesso danno una mano al destino.

Sono molte le considerazioni possibili. La prima riguarda la fragilità del nostro sistema dei trasporti. Se il 90 per cento delle merci continua a viaggiare su gomma - non tocchiamo il tasto inquinamento - è chiaro che siamo e saremo nelle mani di un pugno camionisti. Ma perché in tutti questi anni non si è fatto nulla per spostare parte del trasporto merci sui treni? Certo, per la lobby dei petrolieri sarebbe un duro colpo, ma forse qualche interesse di casta sarebbe ora di cominciare a smantellarlo.

La seconda è sicuramente sulle paure più o meno profonde degli italiani. Gente che fra lunedì e ieri ha fatto scorte di alimenti per un mese; gente che si è affrettata non solo a fare il pieno all’auto, ma anche ad avere una tanica di scorta. In fondo, dai tempi descritti da Manzoni a oggi non siamo molto cambiati. Da Nord a Sud prevale la voglia di sentirci al sicuro da tutto, fosse anche il rischio di rinunciare per un giorno al cappuccino col latte fresco.

La terza considerazione riguarda la politica. Le proteste di questi giorni sono la spiegazione concreta del perché i governi - di tutti i colori - non abbiano mai tentato un seppur piccolo assalto a caste e corporazioni. Solo un esecutivo di tecnici, cioè di gente libera dalla necessità di dover essere rieletta, poteva mettere mano alle liberalizzazioni. Tanto di cappello, dunque, a Monti e compagni per il coraggio, se poi le misure varate e quelle ancora in preparazione saranno pure efficaci come dicono è ancora presto da dire.

Tutto quello che sta succedendo è l’assicurazione sulla vita del governo: chi mai vorrà farlo cadere per diventare poi lui il bersaglio delle frecce avvelenate di camionisti, farmacisti, avvocati, benzinai, tassisti e - fra un po’ - anche di tutti gli altri?

E veniamo al merito della protesta. È giusto che autotrasportatori ancorché esasperati dal pesante lavoro, dai costi altissimi cui si sono aggiunti repentini aumenti dei prezzi delle assicurazioni e dei carburanti tengano in scacco un paese? La risposta è no. Perché altrimenti ci dovremmo preparare a una serie di blocchi più o meno quotidiani attuati da ciascuna delle categorie che si sente vittima del governo. Non a caso ieri da Bruxelles è arrivata una tirata d’orecchi a Roma perché ristabilisca la libertà di movimento di cose e persone.

Quanto agli aumenti c’è poco da fare: per decenni si è scialato e adesso o si tira la cinghia oppure si rischia di scivolare in un precipizio il cui fondo nessuno sa dove sia. Occorre farsi una ragione delle lacrime e sangue che presto arriveranno. Il tenore di vita di molti è stato al di sopra delle loro possibilità. Certo, c’è chi ha rubato, speculato e approfittato della situazione, ma ci sono stati anche colpevoli silenzi e omissioni indecenti. Non è più possibile permettersi tutto questo né continuare a coltivare l’illusione che la colpa sia tutta della Casta: quelli ci hanno messo del loro, ma c’erano pure tanti che spremevano contributi, elargizioni, consulenze, appalti e ogni possibile «gibbanza».

In sistemi complessi come le moderne società non possono esserci colpevoli unici, così come non possono esserci singoli eroi che salvano la patria. Si cambia tutti insieme e tutti insieme ci si tira su le maniche. Con tanti sacrifici per tutti.

Oggi non sappiamo che cosa accadrà. Ai disagi per i cittadini si aggiungono i pianti di allevatori e coltivatori che vedono andare a male i loro prodotti. E se non interverranno ministero e prefetti, sarà davvero paralisi, con rischi e danni enormi: dagli aeroporti agli ospedali. No, bisogna fermare questa protesta e provare ristabilire regole civili anche per far ascoltare ragioni legittime. La balcanizzazione del confronto non conviene né agli autotrasportatori né al governo. Perché qualche disagio è sopportabile, ma diventare ostaggio di chicchessia è arrendersi a un sopruso.
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