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Regina Pacis, la storia del centro

Regina Pacis, la storia del centro

 

Sabato 12 Marzo 2005, 17:16

02 Febbraio 2016, 19:12

SAN FOCA DI MELENDUGNO (LECCE) - All'inizio qualcuno lo definì un lager, poi con le migliorie apportate anche grazie a fondi pubblici, sono aumentati i comfort tra i quali anche ambienti con l' aria condizionata.
Il miracolo della trasformazione del Regina pacis da vecchia colonia abbandonata a centro per immigrati, dopo essere stato all'inizio centro di prima accoglienza, è della Curia arcivescovile leccese. Nel marzo '97, nel pieno degli arrivi di massa nel Salento degli albanesi, la diocesi salentina decise di rivitalizzare la struttura e di porla a simbolo della carità e della solidarietà cristiana. Il 30 giugno 1999 il ruolo svolto dal Regina pacis nell'ambito della crisi immigrazione fu consacrato dalla visita del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.
In questi otto anni di attività il Regina Pacis gestita dall'arcivescovo di Lecce, mons.Cosmo Francesco Ruppi, per il tramite del suo direttore, don Cesare Lodeserto, ha accolto diverse decine di migliaia di immigrati di varie nazionalità (in prevalenza albanesi, kosovari, serbi, curdi di nazionalità turca ed irachena, moldavi) che venivano condotti a San Foca di Melendugno non appena sbarcati sui litorali pugliesi.
La struttura è organizzata per metà come una caserma e per metà come un albergo, dove le persone ospitate - sino ad un massimo di alcune centinaia - dopo il primo periodo di ambientamento contribuiscono fattivamente alla sua attività. Grandi spazi e locali comuni (come la mensa o i campi per la pratica sportiva), una dispensa sempre fornitissima ed un imponente magazzino del vestiario gestito da alcune suore. Le stanze in cui soggiornano le famiglie sono dotate anche di radio-tv.
Mons.Ruppi ha sempre sottolineato il fatto che nel centro non c'è alcun segno religioso particolare, tranne il nome. «Desideriamo rispettare la religione della gran parte dei profughi spesso diversa da quella cristiana» ha detto più volte. «Il nostro motto - ha sempre dichiarato - è nulla chiedere, nulla rifiutare. Perciò chi ha cuore e umanità sa quello che deve fare. Noi ringraziamo tanto la provvidenza. Agli uomini, comunque, chiediamo soprattutto che diano lavoro e speranza a questi fratelli».
Beppe Desiderato
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