Quella, di una donna dell’Italia meridionale di fine Trecento e metà Quattrocento, assolutamente emancipata e tanto coraggiosa da intraprendere battaglie pur di decidere il proprio destino. Vedova del principe di Taranto, Raimondo del Balzo, di fronte al dilemma se sposare o no Ladislao, dopo avergli schierato contro il suo esercito e nel valutarne le conseguenze politiche e personali, dice: «Non me ne curo, ché se moro, moro regina».
Disse sì a Ladislao, divenuto nel frattempo re di Napoli. Non andò benissimo, ma lei, che era donna di risorse non comuni, tornata a Lecce all’indomani della morte del marito, si occupò della città, riprendendo i progetti che già aveva avviato con Raimondello. Utilizzò nella sua attività di amministratrice, mecenate, condottiera, oltre che contessa, principessa, lo sguardo lungo di chi vive la propria vita seguendo un disegno ampio. Non solo, quindi la gestione del proprio feudo, ma anche la bellezza e il ben vivere del proprio territorio. È questo il segno di cui all’inizio: un segno a cui tutte le donne di casa Galante De Secly sono state legate e di cui hanno mantenuto nel tempo lo spirito. [a. bocc.]