Sabato 13 Dicembre 2025 | 06:58

Quelle strade tra Puglia e Basilicata battute a bordo di una Fiat 600

Quelle strade tra Puglia e Basilicata battute a bordo di una Fiat 600

 

Venerdì 25 Giugno 2010, 08:45

02 Febbraio 2016, 21:59

Fuori dalle due chiese. Terzaforzisti per vocazione, concretamente laici secondo tradizione, come Gaetano Salvemini. Al meridionalista di Molfetta capitò tra le mani uno dei primi numeri di «Basilicata», foglio nato a Matera il 26 gennaio del 1954. Non esitò a congratularsi con i redattori: «Continuate - scrisse in una lettera - e non fatevi dissuadere a cambiare». 

Intanto, quei giovani lucani rimasero folgorati dal movimento di Adriano Olivetti, Comunità. Furono invitati a recarsi ad Ivrea da Geno Pampaloni, segretario dell’industriale delle macchine per scrivere. Ai piedi delle Alpi divenne chiaro il rapporto di amicizia che legava il direttore di Basilicata, Leonardo Sacco, e il suo più stretto collaboratore, l’urbanista Marcello Fabbri, a personalità del calibro di Rocco Scotellaro, Manlio Rossi Doria e, in particolare, Carlo Levi. Anche Francesco Compagna volle conoscerli e mostrò loro il menabò di «Nord e Sud», mentre a Guido Piovene, nel corso del suo memorabile programma Rai del 1955, «Viaggio in Italia», non sfuggi l’acume di una minoranza critica come quella che vide il debutto di Nicola Tranfaglia e di tanti altri pronti ad identificarsi nella coscienza critica coagulatasi intorno ad un periodico la cui ambizione puntava in alto, trasformare addirittura le classi dirigenti del Sud, anche oltre quel «pessimismo attivo» di Giustino Fortunato. 

Fu gioco forza per Sacco, in quegli anni, collaborare con una serie di quotidiani, tra cui «La voce repubblicana», «Cronache meridionali», «Italia socialista», il quotidiano degli azionisti autonomi guidati da Aldo Garosci, e naturalmente «Il Mondo», il settimanale di Mario Pannunzio ed Ernesto Rossi. E poi, il giornalista materano ricorda con piacere e dovizia di particolari il lavoro più che trentennale con la Gazzetta del Mezzogiorno, iniziato nel 1961. Una storia intensa. Come quella del "Sottano", a Bari, il locale di Armando Scaturchio che era anche una galleria d’arte frequentata regolarmente dal suo amico fraterno Vittore Fiore. Lo stesso luogo in cui Sacco, quasi per gioco, acquistò dieci azioni della società editrice della Gazzetta. Insomma, seppure piccolissimo, divenne socio della proprietà e, invitato all’assemblea degli azionisti, il giovane cronista prese appunti pieno di curiosità. «Un manipolo di parastatali del Banco di Napoli», così li definisce oggi. Se la stavano prendendo con il direttore Riccardo Forte reo, a loro dire, di voler fare davvero il giornale. Non solo, costui chiedeva pure i dati sulla tiratura, ogni giorno. 

Forte alla fine del 1961 andò via, ma i tempi erano ormai cambiati e anche i vertici della proprietà subirono una serie di "aggiustamenti". Sacco continuò la sua collaborazione con il nuovo direttore Oronzo Valentini che, come chi lo aveva preceduto, decise d’investire sui giovani. Fu allora che ottenne uno stipendio mensile di 70mila lire. Alloggiava al quinto piano di un condominio in via Melo, non lontano dalla vecchia sede della Gazzetta, e riuscì a comprare una Fiat 600 di colore caffellatte. Chissà come, impararono presto ad individuare l’auto e il suo autista. Valentini lo inviava ovunque tra Puglia e Basilicata. E le cronache di Sacco, rigorose, ricche di particolari, non di rado facevano imbestialire gli amministratori locali, abituati a ben altro tipo di trattamento. 

«Come potrei dimenticare il telegramma inviato al giornale dall’allora sindaco di Martina Franca - commenta con la sua inconfondibile voce stridula - colpiva il tono perentorio del testo, da podestà a tempo scaduto. Il sindaco mi convocava per il giorno dopo nel suo ufficio. Rigirò tra le mani il telegramma anche il collega Giuseppe Giacovazzo. Gli chiesi consiglio su come dovevo comportarmi. “Ma chi si crede di essere? Continuiamo a lavorare”, fu la sua risposta serena e abbandonò divertito quel foglietto ora non più minaccioso, ma mi sembra che come cartaceo aeroplanino fu destinato ad atterrare lievemente in un cestino per i rifiuti». 

Poi fu la volta del non meno intenso lavoro svolto con Laterza. Nel 1963 Sacco divenne capo ufficio stampa della casa editrice. Lo stipendio salì a 400mila lire. Per la disperazione della moglie, scomparsa ormai da qualche anno, quei soldi se li consumava in parte per “Basilicata” e nelle librerie di mezza Italia. «Allora - fa notare - i libri non si spedivano per posta. La casa editrice ci mandava di persona a distribuire le copie delle ultime novità, da consegnare direttamente nelle mani dei responsabili dei servizi culturali di quotidiani, settimanali e periodici. Ero continuamente in viaggio, a contatto con i più bei nomi del giornalismo nazionale. Ne potrei raccontare tanti, ma un episodio mi colpì di quegli anni. Avvenne al Corriere della Sera. Il capo servizio dell’epoca confessò apertamente gli sforzi che andava compiendo per la messa a punto della sua personale biblioteca. Era stizzito, davvero non gli garbava il timbro che Laterza usava imprimere sui libri da recensire: “Copia omaggio”. In fondo alla stanza, sbucata dalla penombra, si levò improvvisa una voce calma, ma perentoria. Era quella di Eugenio Montale. Fu un attimo. Mise a tacere il lamentevole elzevirista, come si chiamavano allora, poi, avvennero le presentazioni. [p.d.]
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)