Giuseppe Sacco, che aveva sposato Lucia La Piazza, una donna di origini romane, era fratello di Umberto Sacco, il capostipite lucerino che, figlio di Nicola Sacco, fondarono il famoso molino e pastificio di Lucera distrutto da un inspiegabile incendio nell’autunno ‘68. Con il marchio di “Nicola Sacco & Figli” esportarono pasta in tutto il mondo: a garantire erano le prelibate qualità di grano duro coltivate nel Tavoliere, Granaio d’Italia.
L’avventura dei Sacco iniziò a Lucera poco prima dell’inizio della Grande Guerra: acquistarono un piccolo molino alla periferia della città dalla famiglia Caso, e da lì cominciarono a percorrere tutti i sentieri che avrebbero portato quel casato a tenere alto il blasone del marchio pugliese nel mondo. Non che i Sacco avessero dimestichezza con l’intrapresa molitoria; anzi: uno di loro, prima di acquistare il molino dai Caso, andava vendendo, con la cassetta a tracolla, fettuccie (“capisciole”) e merletti per strada.
La fortuna arrise ai Sacco, meglio, al capostipite Nicola che, secondo una leggenda che si tramanda ancora oggi, avrebbe rinvenuto a Lucera, dalle parti dell’Anfiteatro romano, un’otre di pelle ripieno di monete d’oro; di lì la decisione di investire tutto quel ben di Dio in un grande pastificio. Sono numerosi gli eredi Sacco sparsi per l’Italia che hanno più o meno mantenuto legami con Lucera, dove da diversi anni è in corso un contenzioso che vede al centro proprio il suolo dove un tempo sorgeva il loro molino. I Sacco sono creditori di oltre 5 milioni nei confronti del Comune.
















