Martedì 04 Novembre 2025 | 01:35

Una tragedia tra errore umano e noncuranze tecniche

Una tragedia tra errore umano e noncuranze tecniche

 

Lunedì 23 Marzo 2009, 16:21

02 Febbraio 2016, 20:15

ATR 72PALERMO - A poche ore dal disastro, quanto ancora i resti dell’Atr 72 della Tuninter, spezzatosi in tre parti dopo l’impatto col mare, galleggiavano a largo delle coste palermitane, la compagnia aerea tunisina proprietaria del velivolo parlò di “dannatissima fatalità”. Ma che nell’incidente avvenuto il 6 agosto 2005 e costato la vita a 16 persone, il fato c'entrasse ben poco gli investigatori lo ebbero chiaro da subito. Di errore umano parlarono i consulenti della Procura di Palermo. Di errore umano parla, oggi, il gup Vittorio Anania che ha ritenuto responsabili della tragedia aerea, la terza in 40 anni nei cieli siciliani, sette dei nove imputati: pilota e copilota del velivolo (condannati alla pena più severa, 10 anni) e cinque tra dirigenti e tecnici della Tuninter. Due gli assolti. 

Una sentenza dura – 62 anni di carcere complessivi – nonostante le riduzioni di pena consentite dal rito abbreviato scelto dagli imputati. “Abbastanza soddisfatti” del verdetto, si dicono i familiari delle vittime; mentre annunciano appello i legali del direttore generale della compagnia. 

La tesi dei pm, dunque, ha retto: i motori del velivolo, partito da Bari e diretto a Djerba, con 34 passeggeri e 5 membri dell’equipaggio, si spensero perché erano a secco e nessuno se ne accorse perchè sull'aereo erano stati montati indicatori di carburante di un altro modello di Atr. Errore umano, dunque. E sempre l’errore umano sarebbe stato causa dell’ammaraggio. Dall’inchiesta è emerso che il pilota, il tunisino Chafik Gharbi, proseguì il volo, dopo essersi accorto che i motori si erano fermati, nonostante avesse tutto il tempo di atterrare a Palermo. E non sarebbe questa l’unica colpa del comandante che, invece di applicare il protocollo d’emergenza, preferì invocare Allah. I concitati momenti che precedettero l’ammaraggio lasciarono le loro tracce sulla scatola nera, recuperata a 1500 metri di profondità. Dai nastri risulta che Gharbi perse completamente il controllo della situazione, lasciando il posto di comando e mettendosi a pregare. 

Indicatore di carburante sbagliato ed errore del pilota, dunque, le 'concause' del disastro indicate dai pm di Palermo Marzia Sabella ed Emanuele Ravaglioli a cui la Corte di Cassazione, ponendo fine ad un acceso conflitto tra procure, assegnò la titolarità dell’inchiesta. A contendersi il fascicolo, per mesi, sono stati i pm di Palermo e quelli di Bari. E alla Suprema Corte è toccato districarsi tra le complicatissime norme del codice di procedura penale sulla competenza e stabilire se fosse titolare l’ufficio siciliano, nel cui territorio si era verificato il disastro e che per primo aveva aperto il fascicolo di indagine, o quello barese. 

Dopo la decisione della Cassazione, dunque, i procedimenti vennero riuniti. I pm palermitani, che già il giorno dopo la tragedia avevano cominciato a sentire le testimonianze dei 23 sopravvissuti, assegnarono a tre consulenti l’incarico di fare luce su quanto era accaduto. La corposa relazione tecnica escluse la responsabilità di tre degli originari indagati, accusati di omicidio colposo, lesioni colpose e disastro colposo. Uscirono così di scena i dipendenti dell’Eni di Bari, Ettore Fumagalli ed Alessandro Perfetto e Mario De Giorgi, responsabile della ditta Avio Spa. A spingere i magistrati ad iscriverli era stata la prima pista seguita che vedeva in eventuali impurità presenti nel carburante la causa del disastro. Ma per i consulenti il rifornimento venne eseguito bene: nel gasolio non furono trovati residui di altre sostanze. Gli esperti, invece, puntarono il dito sugli indicatori di carburante e, analizzando quel che rimaneva dell’Atr 72, arrivarono ad una sorprendente conclusione, la stessa raggiunta dai tecnici dell’Agenzia per la Sicurezza del Voli. Sul velivolo diretto in Tunisia erano state istallate apparecchiature predisposte per un altro modello di Atr, il 42. Per questo l'indicatore avrebbe segnalato la presenza di una quantità di carburante di gran lunga superiore a quella reale. Oggi ad ascoltare il verdetto c'erano superstiti e familiari delle vittime. 

Ma sui banchi dell’aula, costituito parte civile, c'era solo lo zio di Barbara Baldacci, una delle vittime, unico a non avere accettato il risarcimento offerto dalla Tuninter. A lui il gup ha riconosciuto un risarcimento di 30mila euro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)