Ma la critica è netta e spazia a 360 gradi. Uno dei punti su cui è più in disaccordo è che «l'attuale progetto di riforma elimina la possibilità che il pm acquisisca la notizia di reato direttamente, riservando questa acquisizione alla polizia giudiziaria: la genesi di un processo viene così sottratta all’autonomia e indipendenza del magistrato, espressione del potere giudiziario, e affidata alla polizia giudiziaria, che è espressione del potere esecutivo». «E' una critica che faccio – spiega Woodcock – sulla base del principio fondamentale della separazione dei poteri. Non centra niente chi è più bravo o più bello: le alterne vicende delle mie attività investigative sono sempre legate alla simbiosi tra me e la polizia giudiziaria».
Altra riforma che il sostituto procuratore si augura «che non entri in vigore» è quella delle intercettazioni. Woodcock, «intercettatore folle», come egli stesso ricorda di essere «notoriamente considerato», non è pentito del largo uso fatto nelle sue inchieste di questo strumento d’indagine, anche quando «in nome di un interesse pubblico e sovraordinato può capitare che per accertare chi ha rubato un cellulare da 300 euro ne spendo 700 per acquisirne i tabulati». Il magistrato contesta soprattutto il fatto che, secondo la nuova disciplina, le intercettazioni si possano disporre solo nel caso di indizi di colpevolezza e non di reato, mentre «oggi sono tanto più utili all’inizio delle indagini, nei procedimenti contro ignoti». E sono «indispensabili – aggiunge – nell’accertamento di alcuni reati, ad esempio la corruzione», quando gli strumenti tradizionali di ricerca della prova si rivelano inefficaci. Woodcock – che considera «aberrante» l’idea di elezione diretta del pubblico ministero, che finirebbe con il premiare i più 'popolarì – si rivolge poi ai suoi stessi colleghi, invocando la massima «autonomia interna»: attenti a quando le correnti tra magistrati si trasformano «in strumento di potere» e in guardia anche dai possibili condizionamenti derivanti dagli incarichi extra-giudiziari. «Guai, infine, a cercare il consenso dell’opinione pubblica: detto da me – ammette Woodcock, uno dei magistrati più noti d’Italia – potrebbe sembrare ipocrita, ma l’esposizione mediatica si paga sempre».
















