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Maurizio Ferraris: «Naturale o artificiale? Meglio l’intelligenza ibrida»

 
Giacomo Fronzi

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Giacomo Fronzi

Maurizio Ferraris: «Naturale o artificiale? Meglio l’intelligenza ibrida»

Domenica 06 Luglio 2025, 19:08

La proposta culturale pugliese, tra musica, arte, teatro, danza e libri, è notoriamente tra le più rilevanti e ricche del panorama nazionale, e il festival “Il libro possibile” rientra proprio nelle eccellenze pugliesi. Eccellenza nell’eccellenza, il filosofo Maurizio Ferraris (ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Torino), che sarà presente – a Polignano il 12 luglio con La pelle. Che cosa significa pensare nel tempo dell’intelligenza artificiale. Si tratta di un libro estremamente fecondo che, pur trattando di intelligenza artificiale, punta a elaborare una necessaria «teoria del pensiero, del mondo dello spirito e della ragione», utile a cogliere in profondità le specificità dell’attuale «circolo tecnoantropologico».

Professor Ferraris, fin dalle prime pagine del libro emerge una delle sue tesi di fondo, che potremmo sintetizzare così: ciò che rende davvero diverse l’intelligenza umana e quella artificiale è la volontà e la sua capacità di dare senso all’esistenza e all’esistente. In che termini e in che misura ciò avviene?

«Per dar senso a qualcosa (per esempio a un martello, a un telefonino o a una intelligenza artificiale) occorre avere dei bisogni: se non ho un chiodo o un avversario, il martello ha poco senso. E per avere dei bisogni è necessario avere un corpo, che ci fa sentire il caldo (accendi l’aria condizionata), la sete (bevi), la fame (mangia) e la morte. Questo è il punto più scabroso: non vivrai in eterno, ed è meglio che ti organizzi, prima di tutto cercando di non rimandare a domani quello che puoi fare oggi, e poi rassegnandoti al fatto che diversamente da un phon, che si può accendere e spegnere un sacco di volte, verrà il giorno in cui non avrai un domani e ti spegnerai per sempre. Il che non è troppo allegro, ma fa sì che mentre un phon vale l’altro ogni umano è unico, è immerso nella storia, e possiede quel dono oscuro ma esclusivo degli organismi che è la vita».

Spesso si attribuisce all’intelligenza artificiale la capacità di “imparare” e di “modellarsi” sulla base delle informazioni acquisite e apprese. Ma dove si situa la differenza tra questa sorta di “apprendimento” e il nostro modo di imparare? Negli obiettivi?

«Intanto non sarei così sicuro che questa abilità, attribuita con tanta generosità all’intelligenza artificiale, sia così ben distribuita nell’intelligenza naturale. Ho una quantità di colleghi che non imparano dall’esperienza, ed è capitato tantissime volte anche a me di commettere sempre gli stessi errori nell’arco di decenni. Quanto alla differenza, è banale. L’intelligenza artificiale è stata programmata per imparare dall’esperienza (ovviamente in ambiti definiti e prestabiliti dal programmatore). Quella naturale no, e molto spesso l’ostinazione, frutto della volontà esorbitante che noi abbiamo e che le macchine non possiedono, ci fa sbagliare con una tenacia di cui nessuna macchina sarebbe capace».

Quando interroghiamo l’intelligenza artificiale, spesso dimentichiamo quel che lei ci ricorda: essa è una immensa biblioteca, «un enorme deposito sempre pronto», è «ogni apparecchio che conserva, e restituisce in un secondo momento, il fare o il sapere umano». Anziché essere il momento di superamento dell’umano (post-human) è, allora, la sua massima celebrazione?

«Sì, perché se una biblioteca è la celebrazione della cultura umana – non conosciamo animali non umani dotati di biblioteche, sebbene, come i delfini, possano avere una massa cerebrale superiore alla nostra – così il web, da cui l’intelligenza artificiale trae le proprie informazioni, è il più grande archivio della forma di vita umana che mai sia esistito. Un trionfo dell’umano, nel bene e nel male. E un tesoro che non dobbiamo lasciare che venga usato soltanto per finanziare le nozze Bezos-Sanchez (rispetto alle quali non ho nulla in contrario, peraltro), ma per aprire un nuovo e straordinario capitolo delle scienze umane, che personalmente chiamo “intelligenza ibrida”: la conoscenza dell’umano in quanto animale costitutivamente ibridato dalla tecnica, e con una tecnica che oggi ci fornisce l’immagine più ricca e dettagliata non di ciò che insinceramente pensiamo di noi, ma di come agiamo, dunque di ciò che siamo. Questa, io credo, è la grande promessa per l’umanità che dobbiamo cercare di mantenere: non limitiamo a criticare le piattaforme, creiamone di alternative con i dati che ci dovranno dare (lo impongono le leggi europee) e realizziamo due grandi sogni con un capitale che non ha equivalenti nella storia: un comunismo digitale che capitalizzi alternativamente, e per il bene comune, il valore che ognuno di noi produce; e una intelligenza ibrida, ossia naturale e artificiale insieme, che ci faccia accedere, per la prima volta nella storia del mondo, a una immagine veritiera dell’umano».

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