Sabato 13 Dicembre 2025 | 07:01

Marina Abramović, le opere, la rabbia e l’orgoglio

Marina Abramović, le opere, la rabbia e l’orgoglio

 
Rossella Cea

Reporter:

Rossella Cea

Marina Abramović, le opere, la rabbia e l’orgoglio

«Una donna che non è intimamente consapevole delle sue potenzialità, a tal punto da rinunciare alla sua indiscussa supremazia sull’uomo, è una donna che mi fa rabbia»

Lunedì 25 Novembre 2024, 07:00

«Una donna che non è intimamente consapevole delle sue potenzialità, a tal punto da rinunciare alla sua indiscussa supremazia sull’uomo, è una donna che mi fa rabbia». Una definizione che fa riflettere, in questi tempi di estremismi, quella della nota artista internazionale di origini serbe Marina Abramović. È attualmente in mostra fino al 16 febbraio 2025 una sua multisfaccettata retrospettiva al Kunsthaus Zürich in Svizzera, forse tra le più significative nell’arco di una vita intorno al mondo. È stato forse tra gli anni ‘80 e la fine del secolo scorso che le artiste hanno, nei fatti, conquistato il loro posto nelle più importanti istituzioni artistiche, raccogliendo un’eredità di delusioni e sconfitte che, fin dagli anni ’60, avevano gradualmente prodotto un’emancipazione femminile più teorica che pratica. Così il museo Guggenheim di New York ha cominciato ad allestire mostre personali di Jenny Holzer e Rebecca Horn, mentre in Inghilterra Rachel Whiteread rappresentava la prima donna ad essere insignita del prestigioso Turner Prize della Tate Gallery di Londra nel 1993.

Per Marina Abramović, pioniera indiscussa della performance art, il corpo è sempre stato il principale strumento di espressione, protagonista ambivalente e affascinante delle sue mirabolanti esibizioni. Fin dall’inizio degli anni ‘70, ha sperimentato e sfidato ogni sorta di limite della resistenza psico-fisica, con azioni e re/azioni che spesso arrivavano a mettere a rischio la vita. Alla fine degli anni ‘60 la ricordiamo mentre si lancia in pasto al pubblico napoletano, con un biglietto che reca la scritta: “Io sono un oggetto”, sperimentando l’estremo senso delle reazioni più disparate e trasformando quello stesso pubblico in una parte attiva e fondamentale dell’opera nel suo imprevedibile divenire. Non era raro che, una volta superato l’imbarazzo iniziale, il pubblico si lasciasse andare agli istinti più brutali. Oggi, lei considera questi esperimenti soltanto l’aspetto più superficiale della questione, la punta dell’iceberg che ha iniziato a sondare all’inizio della sua carriera. Del resto, come dimenticare Imponderabilia del 1977, performance memorabile in cui Abramović e Ulay, suo partner artistico e sentimentale di quei tempi, nudi all’ingresso di un museo, obbligavano i visitatori a passare tra i loro corpi, sondando l’intensità emotiva della reazione a un contatto umano dalle connotazioni impreviste e la percezione dello spazio ad esso associata. Attraversare quindi una certa soglia significa accedere a una nuova dimensione fisica, spirituale, gestuale, intima e, in ultima (o prima) analisi artistica, verso una conoscenza di sé più autentica e svincolata da modelli imposti e dai condizionamenti che ne derivano. Ma rappresenta anche una metafora potente del ruolo dell’arte come canale verso l’imponderabile.

Quali sono dunque i limiti con cui la donna di oggi, così emancipata ed apparentemente libera, deve fare i conti? Forse non più con un mondo maschilista, ma con l’ombra che lei stessa ha creato di sé, come ci insegna la Abramović, e che la sua arte ci porta ad esplorare senza timori. Il dolore della solitudine, la paura della morte, emozioni che vanno presentate davanti ad uno specchio affinché se ne possa veramente comprendere il senso, senza perpetuare un senso di colpa che non ha più motivo di esistere. Troppa l’inutilità nell’arte di oggi, troppo artificio, troppi vuoti di senso, sprecati combattendo una battaglia persa in partenza. Questo il suo pensiero: non sarà nemmeno l’arte che cambierà il mondo, ma di sicuro ci darà la possibilità di vedere in maniera diversa e forse di trovare il coraggio, prima o poi, di sfidare noi stessi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)