Meraviglia la meraviglia che negli ultimi tre anni il Sud sia cresciuto più del resto del Paese. Come, il Sud? Il Sud, sentito bene. Meraviglia chi gridava allo scandalo e allo spreco quando si diceva che bisognava puntare sul Sud per far crescere l’Italia intera. Chi era sempre pronto a stigmatizzare «tutti i soldi che vi diamo». Ignari per ignoranza, appunto, o malafede, che da sempre la spesa pubblica dello Stato al Sud è inferiore a quella per il Centro Nord, altro che «tutti i soldi». E ignari che così i cittadini meridionali fossero trattati da diversamente italiani. Un po’ come vorrebbero continuare a fare con l’autonomia differenziata. Ma siccome il buon giornalismo predica non più di un argomento per ogni articolo, non divaghiamo.
La maggiore storica crescita al Sud invece che al solito Centro Nord (anzi soprattutto Nord) ha cifre sprint. Solo nel 2023, Pil (reddito prodotto) su dell’1,3 per cento (Italia più 0,9, Unione Europea più 0,5). Occupazione (sia pure spesso «povera»): Sud più 2,5%, Italia più 1,8, Europa più 1,2. Questa crescita ha un nome su tutti: investimenti pubblici. C’era una volta la Cassa per il Mezzogiorno, quella che fa venire l’orticaria a tutti i censori del Sud. Quella che solo accennarne rievoca presunte stagioni di soldi (rieccoli) buttati al vento. E invece la Cassa per il Mezzogiorno va benedetta almeno finché la nascita delle Regioni (1970) ha fatto diventare tutta l’Italia un bancomat. Ma nei primi vent’anni in cui i tecnici prevalsero sui politici, la Cassa ha trasformato come non mai il Sud uscito distrutto dalla guerra più del Centro Nord.
Era la conferma a un primo comandamento che mai si sarebbe dovuto dimenticare: il Sud cresce soprattutto quando vi si investe. Segreto di Pulcinella. E il Sud da quel 1970 e dintorni non è cresciuto quanto avrebbe potuto perché sul Sud si è finito di investire. Tutto sulla locomotiva del Nord, sgocciolii al Sud. E, al posto degli investimenti, assistenza al Sud perché non disturbasse il guidatore e diventasse solo consumatore «privilegiato» dei prodotti del Nord. Ma nella fase invece degli investimenti, senza il Sud non ci sarebbe stato alcun «miracolo economico» italiano. Benché pure allora il modello colonialistico (anche qui abbiamo sentito bene) prevedesse industrializzazione da una parte e braccia da lavoro (leggi emigrazione) dall’altra. Il famoso «esercito di riserva» marxista.
Se la maggiore crescita del Sud negli ultimi tre anni si chiama investimenti, questi investimenti si chiamano Pnrr, mitico Piano di Ripresa e Resilienza. Parliamoci chiaro: grazie a quell’Europa che troppi considerano solo un covo di burocrati ossessionati dalla circonferenza delle arance. Quell’Europa che sulla coesione territoriale ha impegnato la sua ragione d’essere. E che proprio a causa della diseguaglianza a danno del Sud ha destinato all’Italia la quota infinitamente maggiore del suo intervento dopo il Covid.
Di sicuro se in matematica due più due fa ancora quattro, anche i famigerati algoritmi avevano calcolato che, di quei circa 200 miliardi, al Sud dovesse andare non meno del 60 per cento. Ci è andato il 40, più del 34 per cento della popolazione. Pace. Anzi di quel 40 non si sa nemmeno quanto e come sia finito davvero al Sud, con indirizzo e destinatario preciso. Fatto sta che la messa a terra, come si dice, di quei fondi, cioè i cantieri, ha portato al risultato-meraviglia del Sud che è invece una ovvietà. Opere e non promesse, infrastrutture e non chiacchiere, asili nido (sia pure sempre insufficienti) e non assicurazioni da talk show. Datemi un cantiere e vi solleverò il mondo, anzi il Sud. Ciò che è avvenuto, chissà quanto volente e chissà quanto nolente (perché in caso contrario l’Europa non mollava altre rate del prestito).
Vade retro il pericolo della speculazione elettorale, avete visto che il Sud sbaglia a protestare? Fortuna che ora per un po’ non si voterà. Il divario resta quello che decenni di politiche (a destra e sinistra) hanno contribuito a determinare, insieme a un pezzo di Sud che sull’emergenza ha creato un suo miserabile potere di ricatto locale. Il divario resta quello che continua a costringere ad andar via dal Sud. Ma non è da oggi che la Banca d’Italia predica quanto un investimento pubblico al Sud faccia più bene all’Italia (non solo al Sud) del solito investimento al Centro Nord: un rendimento superiore del 30 per cento, che poi si distribuirebbe nell’intero Paese.
Campania e Puglia in testa a questo piccolo ma non casuale rinascimento del Sud, e non è solo agroalimentare da primato mondiale o turismo o edilizia. Ma anche manifattura ché se il Sud fosse uno Stato autonomo (se fosse) ne farebbe la settima potenza manifatturiera d’Europa. È soprattutto la smentita a un Sud buono a nulla e incapace di tutto. Con la riabilitazione verso chi lo tacciava di non saper spendere, Comuni in testa. Sud dove si riesce anche a fare (e bene) un G7 invece che nella solita Milano pigliatutto. Ancorché la Milano fortunata seconda città meridionale dopo il Sud.
















