BASILICATA - Le elezioni della Basilicata consegnano sul piano strettamente politico almeno tre elementi di riflessione: Partito democratico e Cinquestelle hanno di fatto rinunciato al copyright del campo largo (vincente alle amministrative di Foggia e alle regionali della Sardegna); il centrodestra con Bardi governatore uscente non ha posto steccati ideologici rispetto alle questioni programmatiche ed aperto agli «appestati» - secondo i kingmaker perdenti del campo largo - da espellere dall’accampamento del centrosinistra; i veti dettati più da un diffuso egoismo sulle personalità che da concreti interessi politici hanno il fiato corto perché, come dimostrato a conclusione della conta dei voti, alla fine presentano un conto indigesto.
E proprio la terza riflessione conduce a quanto accaduto nel centrosinistra che - probabilmente accecato anche dalle questioni in corso al Comune di Bari e alla Regione Puglia - si è fatto travolgere pure in Basilicata, in nome di una presunta questione morale, non riuscendo tuttavia a governare un processo che era già a buon punto e che vedeva nella candidatura di Chiorazzo la sua naturale conclusione.
Il veto su Chiorazzo, formulato dai Cinquestelle e confezionato dallo stesso Partito democratico in una delle più riuscite manifestazioni contemporanee di autodafè politico, alla fine ha provocato soltanto un’accelerazione della sconfitta annunciata e possibile ma non scontata (la differenza di 14% punti percentuali, frazione in più frazione in meno, sono tanti), anche se alla fine non si è capito per quale motivo il candidato presidente in pectore, l’eretico Chiorazzo appunto, non fosse buono per sfidare Bardi ma ottimo per concorrere al successo della coalizione sia pur come semplice candidato consigliere e capolista della sua lista.
Quanto accaduto ha provocato di fatto due effetti collaterali: il primo interno all’ex campo largo del centrosinistra, ovvero l’addio del rassemblement nato intorno ai due ex alleati nazionali Calenda e Renzi costretti a trovare sponde nel centrodestra (ed il loro contributo elettorale è sotto gli occhi di tutti); il secondo ex post con Chiorazzo che ha dimostrato di avere voti tanto da essere il maggior suffragato dell’intero Consiglio regionale e, guarda caso, proprio con uno dei suoi sponsor principali prima dell’abiura, l’ex presidente Pittella arrivato secondo come preferenze ma portate tutte nell’extralarge inventato da Bardi grazie alle porte girevoli della politica, le uniche con gli ingranaggi sempre lubrificati.
Comprendere le dinamiche di quanto accaduto è probabilmente il compito più arduo che spetta alle segreterie nazionali e regionali del centrosinistra (in particolare il Pd fermo al 14% e i Cinquestelle incapaci di raggiungere la doppia cifra) anche se le imminenti elezioni europee distrarranno e non poco rispetto a quanto si è riusciti a realizzare in Basilicata. Con la postilla non meno rilevante di aver bruciato in trenta giorni un potenziale candidato che veniva dato in crescita, il presidente della Provincia di Matera, Marrese, gettato nella mischia qualche ora prima della consegna delle liste a conferma di una difficoltà di sintesi della coalizione. Tuttavia proprio Marrese, che è forse uno dei meno colpevoli del disastro elettorale confezionato nella regione, potrebbe ritagliarsi il non facile ruolo di tessitore nella ricomposizione di lungo periodo di un partenariato politico affaticato ed in forte affanno.
Tutto il contrario di quanto accaduto dall’altra parte della barricata con il governatore uscente Bardi che si è guadagnato una promozione sul campo grazie certamente ad un consenso di base che non è venuto meno, ma anche ad un tatticismo che è diventato strategico nel momento in cui ha capito che la frantumazione del centrosinistra poteva diventare il valore aggiunto della sua coalizione: l’intesa con il notabilato politico locale dei renziani e calendiani ha portato lontano e rafforzato - per certi versi - quell’ala moderata della coalizione di centrodestra nata intorno a Forza Italia che, sia pur seconda come voti a Fratelli d’Italia, dà la sensazione di essere in forte ripresa e sempre più decisiva nell’operazione di tagliuzzamento di quelle punte estreme che spesso e volentieri spaventano il cosiddetto elettorato moderato. Non è solo una questione di sfumature, piuttosto di una linea politica che da Roma si irradia nelle periferie e che punta a creare con Italia Viva ed Azione, dove possibile, quell’agglomerato politico capace di diventare decisivo nelle competizioni elettorali. Insomma, un ritorno del «centro» in grande stile (area che diventa non marginale ma importante se decide le sorti dell’uno o dell’altro schieramento) messo alla porta con eccessiva disinvoltura e frettolosità da un centrosinistra che, nelle elezioni della Basilicata, non ha saputo fare né conti né previsioni.
Ma ora si riparte. Le elezioni, si sa, non finiscono alla conta dell’ultima scheda e alla proclamazione degli eletti ma al contrario iniziano proprio in quel momento e durano cinque anni salvo colpi di scena. Una lunga campagna elettorale attende dunque gli sconfitti del centrosinistra e i vincitori del centrodestra. In mezzo, nell’eventualità, il movimento di Volt e del candidato Follia che con il suo quasi 5% è l’unico che può trovare una consolazione morale in quel modesto consenso. Se non altro sincero.
















