BARI - Vieni a Pane e Pomodoro, la spiaggia dell’amianto e dei colibatteri che nuotano a dorso. Vieni a Pane e Pomodoro di notte, non di giorno. Perché è un luogo aperto, non chiuso. Vivo, non morto. E soprattutto perché è molto diverso da quello che sfuggi al sole.
Sulle impronte lasciate dai bagnanti al mattino nella sabbia s’infossano altri calcagni che dilatano ombre nuove. E anche questo diffonde un senso di diversità misteriosa.
Davanti hai il mare. Un lido sotto. Un cielo nero sopra. E questo già ti basta a comprendere una cosa fondamentale che dalla nascita ad oggi luglio ti era completamente ignota: tutto questo è meraviglioso. E’ la meraviglia che rientra nella vita che è meravigliosa: quella che ci ha dato Signore o Padre Cosmo, come vuoi. Dico a te, mi hai sentito? Devi assolutamente renderti conto che sei nella stupefazione.
Credimi, allora, non avrai più bisogno di molto. Se non del necessario. Perché hai fissato gli occhi nell’infinito, e è l’infinito, questa minutaglia sconfinata che cambia le cose.
Ecco perché voglio che tu venga con me a Pane e Pomodoro. Perché anche se è sera, e anche se è tardi, anzi è passata mezzanotte ora che guardo l’orologio, sotto i fari allucinatori c’è gente che si muove. E a questo punto, nell’incredibilità di quello che senti, visto che quanto senti è una cosa semplice e ovvia, sì, nella semplicità del tuo cuore ti accorgi che non tutti hanno i soldi che hai tu. No. Che c’è gente per la quale un euro significa molto: non meno che nulla. E sono lì, qua, li vedi?, accanto a noi, nell’amore sconfinato della vita, a giocare a carte sui tavolini che volano, a seguire le ballerine del popolo che al bar pizzeria danno uno show, a ridere davanti alla banalità di una Coca-cola o di sorella Peroni, a raccontarsi insensatezze, dato che sono poche le cose che significano qualcosa. E capisci che non tutti scaraventano nel cesso 700 euro per comprare scarpe rosa e multicolori. Che c’è gente che piange e che ha fame. E che sei stato orribilmente orbo. E che devi pentirti se vuoi essere felice. Sì, devi pentirti e devi seguirmi se vuoi scorgere dopo decenni di buio torvo l’orizzonte della luce.
Tu farai l’alba con me, come l’ho fatta io a Pane e Pomodoro. Anzi, ti consiglio di venirci come me, da solo. Perché la Solitudine, che ci segue sempre, che ci fa sempre compagnia, è in ogni angolo qui, lì lontano dietro ai cespugli dove quei due ragazzini pomiciano, là in fondo dove la signora lardosa tiene a bacchetta l’intera famiglia cenando sulle stuoie. Allontanati, spingiti agli estremi, là dove riposa la ragione, cerca, lambisci la battigia: e che schiatti pure la fogna che dilaga un giorno sì e l’altro pure. Non sei che un atomo, anzi la particella utile di un atomo, come la fisica quantistica racconta, giunta per ultima. E atomo è tutto e tutto è atomo e tu sei tutto nel mare nella sabbia dentro il cielo che crea e non corrompe; no che non corrompe. E senti la gioia perché sei la gioia ed è questa la gioia.
C’è un signore sfortunato senza un becco di quattrino che vive qui all’ingresso in un box di legno e chiede aiuto. Beh, santo Cristo: dagli ‘sto aiuto. L’ho visto entrare nel suo buco. E ho chiesto spiegazioni a una sconosciuta che parlava con un ragazzo, lei in piedi e lui in sella a una moto. E lei mi ha detto, “un momento, scusi”, e ha abbracciato il suo amico a lungo, e io ho strabuzzato gli occhi, e lei è venuta verso di me, allora, con gli occhi stracolmi di lacrime, “mi scusi, sono stata appena lasciata, senza ritorno”, e mi ha raccontato la sua storia, e tutto nella notte si è fatto di una straziante bellezza nel suo amore in cocci. E allora sì ho detto: grazie Dio che mi hai spinto a venire a Pane e Pomodoro, luogo che mi faceva senso, fino a ieri, a dire molto. Perché mi hai regalato la più bella notte che io abbia vissuto.
La rubrica «Quadretti Selvaggi» va in ferie. Ci rivediamo quando l’estate muore.
















