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Il certificato antipedofilia un pasticcio all'italiana

Il certificato antipedofilia un pasticcio all'italiana

 
Il certificato antipedofilia un pasticcio all'italiana

Domenica 06 Aprile 2014, 09:37

03 Febbraio 2016, 04:44

di ONOFRIO PAGONE

Quando si dice la burocrazia... Persino su una questione sacrosanta come la lotta alla pedofilia siamo stati capaci di renderci ridicoli agli occhi dell’Europa. Abbiamo impiegato tre anni per recepire una direttiva comunitaria relativa alla lotta contro «l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile». Abbiamo detto bene: tre anni. Quella direttiva Ue - numero 93 del 2011 - è recepita in Italia dal decreto legislativo numero 39 del 4 marzo scorso, che entra in vigore proprio oggi. Solo che la circolare applicativa pubblicata il 4 aprile dal ministero della Giustizia, cioé a 48 ore dall’entrata in vigore della norma, di fatto la svuota. Anzi no: la cosa è più sottile. La circolare vuol essere esplicativa, cioé punta a spiegare in italiano ciò che il decreto legislativo prescrive in burocratese; il fatto è però che, a prescindere dalla prosa contorta e farraginosa, la norma contiene un provvedimento che nella sostanza viene poi smentito dalla circolare che vuole spiegarla.

La norma prevede che qualunque datore di lavoro che assuma un dipendente per lo svolgimento di attività professionali o volontarie che comportino contatti diretti e regolari con minori deve richiedere allo stesso lavoratore di produrre il certificato penale del casellario giudiziale. Perciò il provvedimento è già stato etichettato come «certificato anti-pedofilia». E la norma prevede pure sanzioni pecuniarie piuttosto pesanti - fino a 15mila euro - per il datore di lavoro negligente. Nel mese intercorso tra la pubblicazione del decreto legislativo e l’emissione della circolare applicativa è successo di tutto. Una pioggia di eccezioni, interrogazioni parlamentari e richieste di rinvio per approfondimenti e chiarimenti. Si sono mossi alcuni deputati del Pd, sigle sindacali e associative, il Coni, la Conferenza episcopale, il mondo della scuola. E sì, perché la norma non lascerebbe spazio ad equivoci: chiunque svolga attività professionali o volontarie a contatto diretto e regolare con minori deve produrre questo certificato penale. Questo chiede l’Europa, per essere seri. Dunque, il certificato riguarderebbe chi lavora negli asili, compresi i bidelli, ma anche le baby sitter, le colf, i catechisti, i maestri e gli allenatori di ogni disciplina sportiva. Insomma chiunque abbia contatto con bambini e comunque con i minorenni dovrebbe produrre il proprio certificato penale attestante l’assenza di precedenti specifici.

Primo problema: le cancellerie dei tribunali non sono state attrezzate per tempo con la modulistica mirata. Questa norma richiede il certificato penale solo ed esclusivamente per precedenti specifici, mentre gli uffici dei tribunali rispondono a tutto campo e riportano sentenze passate in giudicato per qualsivoglia motivazione: tutti dati sensibili coperti dalla privacy in maniera molto rigorosa. Morale: le cancellerie sono state prese d’assalto (a Genova ieri il caso più eclatante) e il ministero è corso ai ripari pubblicando sul proprio sito la nuova modulistica. In pratica, abbiamo sul territorio uffici periferici del ministero della Giustizia che servono poco alla giustizia. Basta internet... La circolare applicativa che ieri è stata sbandierata dal ministero chiarisce che la norma non ha valore retroattivo, né poteva essere altrimenti. E dunque nessuna maestra d’asilo o di scuola primaria e nessun bidello attualmente in servizio dovrà certificare la propria irreprensibilità penale nei confronti dei minori. La norma riguarda invece chi deve essere assunto: cioé, di questi tempi, quattro o cinque persone in tutta Italia. E comunque, nel primo periodo, i controlli saranno blandi ed è garantita una applicazione elastica della norma per «evitare - lo dice il ministero, si badi bene - che possano verificarsi inconvenienti organizzativi». E comunque in questo primo periodo di applicazione del decreto è consentita la «via italiana» alla burocrazia, ovvero l’autocertificazione.

Morale: chi ha la fortuna di essere assunto come bidello, per esempio, deve prendere carta e penna e scrivere di non essere pedofilo e di non avere precedenti penali specifici. Facile, no? Non è tutto. La burocrazia salva capre e cavoli e anche qualche possibile pedofilo. Perché la circolare emanata da via Arenula precisa che le nuove disposizioni «valgono solo per l’ipotesi in cui si abbia l’instaurazione di un rapporto di lavoro» e si sia dunque in presenza di un regolare contratto.
Conclusione: la norma indicata dall’Unione europea e recepita dall’Italia non si applica al mondo del volontariato e a enti o associazioni che si avvalgano dell’opera di volontari. Dunque, niente certificato anti-pedofilia per esempio per i catechisti, ma anche per quanti operano nelle società sportive. E niente obbligo neppure per il datore di lavoro domestico: chi assume colf o baby sitter non è vincolato a richiedere il certificato e non rischia sanzioni poi ch é si tratta di un rapporto fiduciario diretto.

L’unico dettaglio, peraltro non irrilevante, rimasto in sospeso riguarda il periodo di validità del certificato o dell’autocertificazione: il certificato va aggiornato o no? Vale sei mesi, un anno, tre anni? Ogni certificato - è il caso di sottolinearlo - ha un costo per chi è tenuto a produrlo, cioé il lavoratore; la sua mancanza ha un costo invece per il datore di lavoro. Posto che chi ha già un contratto di lavoro nel campo non è tenuto a certificare niente e che praticamente tutti sono esonerati dal certificato anti-pedofilia, continuiamo a prenderci in giro. In sostanza, da oggi anche l’Italia è in regola con la direttiva europea sulla lotta alla pedofilia, anche se di fatto fa ben poco o niente. Neanche un certificato, per quello che vale. La cronaca peraltro offre la smentita ufficiale alla diligenza ministeriale: ieri a Ravenna c’è stato un altro arresto per odiosi atti sessuali con bambini. Piccolo particolare: in carcere è finito un parroco. Viva la burocrazia.
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